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Maggiore certezza sul percorso da intraprendere

Intervento di Christine Lagarde, Presidente della BCE, in occasione della conferenza “The ECB and Its Watchers XXIV” organizzata dall’Institute for Monetary and Financial Stability, Università Johann Wolfgang Goethe, Francoforte

Francoforte sul Meno, 20 marzo 2024

Dopo la pandemia i responsabili delle politiche monetarie hanno dovuto affrontare un contesto eccezionalmente complesso. L’aumento dell’inflazione ci ha posto dinanzi a una profonda incertezza riguardo alla sua portata e alla sua diffusione nell’economia. Nonostante il calo dell’inflazione, l’incertezza sulla sua persistenza è rimasta.

Dati i costi potenziali elevati di una politica mal calibrata, abbiamo dovuto adottare un quadro di riferimento che minimizzasse il rischio di errori. Abbiamo pertanto definito la nostra funzione di reazione sulla base di tre criteri: prospettive di inflazione, dinamica dell’inflazione di fondo e intensità della trasmissione della politica monetaria.

Seppur inizialmente concepiti in un periodo di limitata visibilità sull’inflazione futura, questi criteri hanno contribuito a orientare le nostre decisioni anche a fronte del calo dell’inflazione e di previsioni divenute più accurate.

Con le parole di Marie Curie, per progredire tra gli alti e i bassi della vita, “bisogna avere perseveranza e soprattutto fiducia”. Il nostro assetto ci ha infatti incoraggiato a perseverare e avere maggiore fiducia ove necessario.

È stata la nostra bussola affidabile con cui abbiamo calibrato la politica monetaria durante le tre fasi del ciclo in cui ci troviamo.

In primo luogo, ha contribuito alla solidità della nostra fase di inasprimento, quando stavamo definendo la portata dell’azione necessaria a contenere l’inflazione.

In secondo luogo, durante la fase di mantenimento, ci ha aiutato ad attendere con pazienza il conseguimento di una maggiore coerenza tra i segnali provenienti dalle nostre proiezioni di inflazione e quelli dell’inflazione di fondo.

In terzo luogo, ci sosterrà nel raggiungimento di un livello sufficiente di fiducia, tale da poter avviare la fase di allentamento e adottare una politica meno restrittiva.

La fase di inasprimento

Nella fase iniziale del nostro ciclo restrittivo, la priorità principale alla luce dell’impennata dell’inflazione era abbandonare il più rapidamente possibile l’orientamento accomodante della nostra politica monetaria. Sebbene la sfida fosse enorme, risultava relativamente semplice calibrare il percorso della nostra politica.

Tuttavia, con l’aumento dei tassi e l’avvicinarsi al territorio restrittivo, la calibrazione è divenuta più complessa. Abbiamo dovuto valutare innanzitutto l’entità degli aumenti dei tassi finché questi sarebbero stati sufficientemente restrittivi, nonché la durata della loro permanenza su tali livelli. La nostra valutazione è stata però offuscata da una visibilità sul futuro molto inferiore alla norma.

Le nostre previsioni hanno ripetutamente e ampiamente sottostimato l’inflazione, anche su orizzonti più brevi. Ad esempio, dal 2021 al 2022 gli errori assoluti di previsione dell’inflazione a un trimestre, nelle proiezioni macroeconomiche formulate dai nostri esperti, sono più che raddoppiati, principalmente a causa della volatilità dei prezzi dell’energia[1].

Al tempo stesso, la combinazione degli shock emersi dalla pandemia e nel periodo successivo (rotazioni della spesa, picchi nei prezzi dell’energia, cicli caratterizzati dall’effetto “frusta” nel settore manifatturiero, strozzature dal lato dell’offerta, condizioni tese nei mercati del lavoro, politiche di bilancio espansive ed effetti delle riaperture) ha accresciuto il rischio che l’inflazione diventasse più persistente.

Abbiamo affrontato una congiuntura molto insolita, contraddistinta da inflazione elevata e diminuzione dei salari reali, ma anche dall’aumento dell’occupazione; una combinazione che implicava sostanzialmente un processo di recupero pluriennale per compensare le perdite dei salari reali. A sua volta, tale processo avrebbe potuto determinare quella che nella conferenza dello scorso anno ho definito un’inflazione generata da una “spirale di ritorsioni”[2].

Abbiamo affrontato incertezze circa la rapidità e l’intensità con cui la nostra risposta di politica monetaria sarebbe riuscita a ridurre l’inflazione. La BCE non attraversava un ciclo di inasprimento da oltre un decennio e vi era motivo di ritenere che la trasmissione della politica monetaria alle imprese e alle famiglie potesse essere mutata[3].

Pertanto, per un’accurata calibrazione si rendeva necessario un assetto per le decisioni di politica monetaria che funzionasse in caso di visibilità ridotta e che attenuasse l’accresciuta incertezza. Per questo la nostra risposta di politica monetaria è stata impostata su tre criteri richiamati in precedenza: prospettive di inflazione, dinamica dell’inflazione di fondo e intensità della trasmissione della politica monetaria.

Tale approccio ha dato maggiore solidità alle nostre decisioni, in quanto il profilo dell’inflazione anticipato nelle nostre proiezioni doveva essere convalidato dai dati osservabili in tempo reale ed estrapolabili nel medio termine. Abbiamo pertanto potuto assumere decisioni prospettiche con un grado di certezza più elevato.

Tale assetto si è dimostrato adeguato nella pratica.

I tre criteri ci hanno aiutato a mettere a punto gli ulteriori rialzi, consentendoci di portare i tassi su livelli sufficientemente restrittivi da spezzare la persistenza dell’inflazione[4]. Orientando la nostra valutazione accurata dell’intensità della trasmissione della politica monetaria, questi criteri hanno inoltre agito quale verifica incrociata contro il rischio di un eccessivo inasprimento, sostenendoci nel pervenire alla decisione di interrompere l’aumento dei tassi dopo lo scorso settembre.

La fase di mantenimento

Siamo poi entrati nell’attuale fase del nostro ciclo di politica monetaria, la “fase di mantenimento”, durante la quale ci siamo impegnati a mantenere i tassi su livelli restrittivi finché necessario.

Dall’inizio di questa fase l’inflazione ha registrato un calo costante e le nostre proiezioni hanno indicato un suo ritorno verso il nostro obiettivo nel medio termine. Le proiezioni indicano un’inflazione pari in media al 2,3% nel 2024, 0,4 punti percentuali in meno rispetto all’esercizio di dicembre e 0,9 punti percentuali in meno rispetto a quello di settembre. Ci attendiamo quindi che l’inflazione scenda al 2,0% nel 2025 e all’1,9% nel 2026.

Inoltre, contrariamente alle fasi iniziali del nostro ciclo di politica monetaria, vi è motivo di ritenere che l’andamento disinflazionistico atteso continuerà.

In primo luogo, da qualche tempo i dati effettivi sull’inflazione sono sostanzialmente in linea con le nostre aspettative. Nel 2023 abbiamo assistito a una riduzione di circa il 70% dell’errore assoluto medio nelle proiezioni a un trimestre formulate dai nostri esperti rispetto al 2022.

In secondo luogo, osserviamo ora un ritorno dell’inflazione al 2% nell’orizzonte temporale di proiezione in anticipo rispetto a prima, ossia a metà 2025, senza che superi il nostro obiettivo nel resto del periodo considerato.

In terzo luogo, la composizione dell’inflazione sta migliorando, poiché ora ci aspettiamo un calo dell’inflazione di fondo nel medio termine. Ciò suggerisce che la convergenza verso il 2% sarà probabilmente più duratura e meno dipendente dalle ipotesi sui prezzi delle materie prime, sebbene queste ipotesi possano sempre rivelarsi azzardate.

Anche gli altri criteri sono sempre più coerenti con il miglioramento delle prospettive di inflazione.

La trasmissione della nostra politica monetaria procede nella giusta direzione. Le condizioni di finanziamento hanno reagito con forza all’aumento dei tassi di interesse, la domanda di prestiti si è indebolita e, a sua volta, l’attività ha rallentato notevolmente soprattutto nei settori economici più sensibili ai tassi.

L’inflazione di fondo sta diminuendo in termini generali. Quasi tutte le misure che teniamo sotto osservazione sono in calo e l’intervallo dei valori tra le diverse misure si è ridotto da un massimo di 4,1 punti percentuali agli attuali 2,4 punti percentuali. Alcune misure dell’inflazione di fondo con le migliori proprietà di indicatore anticipatore dell’inflazione futura hanno registrato una marcata diminuzione[5].

Allo stesso tempo, le pressioni interne sui prezzi restano forti.

L’inflazione dei servizi continua a essere persistente e a oscillare intorno al 4%, sebbene si sia registrato un certo incremento a febbraio. Il nostro indicatore dell’inflazione interna, che misura le voci a basso contenuto di importazioni, si colloca al 4,5%, al limite superiore dell’intervallo di valori delle misure dell’inflazione di fondo da noi monitorate. Questa misura si è inoltre rivelata un buon indicatore anticipatore[6].

Tali pressioni riflettono in larga misura la robusta dinamica salariale a fronte dell’avanzare del processo di recupero, nonché le condizioni tese del mercato del lavoro, che ha mostrato sinora una buona tenuta in un contesto di rallentamento economico. L’occupazione è cresciuta di 2 milioni di unità in termini cumulati nel 2023, anche quando l’economia ha ristagnato, mentre le imprese continuano a mantenere gli stessi livelli occupazionali. Questo andamento sta automaticamente riducendo la produttività del lavoro e spingendo al rialzo il costo del lavoro per unità di prodotto.

In questa fase, risulta difficile valutare se tali pressioni sui prezzi riflettano semplicemente lo sfasamento temporale dei salari e dei prezzi dei servizi nonché la natura prociclica della produttività, oppure se segnalino spinte inflazionistiche persistenti.

Pertanto, pur avendo compiuto progressi significativi riguardo a tutti e tre i criteri previsti dal nostro assetto, non siamo ancora sufficientemente certi di essere su un percorso durevole verso il nostro obiettivo di inflazione.

Avere certezza sufficiente per procedere all’allentamento della politica monetaria

La domanda fondamentale è quindi: cosa dobbiamo osservare per avere certezza sufficiente da poter avviare la fase di allentamento della nostra politica restrittiva?

In altre parole, occorre proseguire lungo il percorso disinflazionistico. Vi sono tre fattori interni che saranno decisivi per assicurare che il profilo dell’inflazione si evolva coerentemente alle nostre proiezioni.

Il primo è la crescita salariale.

Le nostre previsioni indicano che i salari nominali rallenteranno al 3% nei prossimi tre anni, consentendo alle retribuzioni reali di risalire sui livelli antecedenti la pandemia nell’orizzonte di proiezione, compresi gli incrementi di produttività[7]. Tuttavia, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe mantenersi su un livello molto basso, pari al 6,6%, tale andamento salariale non è scontato. L’analisi di sensibilità condotta dagli esperti della BCE mostra che, in presenza di un pieno recupero anticipato entro la fine di quest’anno, l’inflazione salirebbe al 3% nel 2025 e si ridurrebbe soltanto al 2,5% nel 2026[8].

Il secondo fattore sono i margini di profitto.

La compressione dei margini di profitto ha consentito il recupero dei salari senza ulteriore incremento dell’inflazione. Nell’ultimo trimestre del 2022 i profitti per unità di prodotto hanno rappresentato oltre il 50% del deflatore del PIL, ma tale dato si è ridotto ad appena il 20% a distanza di un anno. Peraltro, la nostra analisi di sensibilità mostra che, se le imprese riacquistassero potere nella determinazione dei prezzi a seguito della ripresa dell’economia e i margini di profitto aumentassero di un punto percentuale cumulato in più rispetto alle nostre proiezioni fino alla fine del 2026, l’inflazione sarebbe pari al 2,7% nel 2025 e al 2,4% nel 2026.

Il terzo è la crescita della produttività.

Ci attendiamo che un incremento della domanda, se soddisfatta con il pieno utilizzo della manodopera accantonata, porterà a un aumento della crescita della produttività e a un calo del costo del lavoro per unità di prodotto. Le proiezioni indicano una crescita della produttività del lavoro dello 0,1% quest’anno che salirebbe poi all’1,2% nel 2025 e nel 2026. Il profilo dell’inflazione potrebbe però rivelarsi diverso se, in un nuovo contesto geopolitico, la perdita di produttività per le imprese europee risultasse essere in parte strutturale.

Dati i ritardi con cui questi dati si rendono disponibili, non possiamo aspettare di avere tutte le informazioni necessarie a nostra disposizione. Rischieremmo altrimenti di adeguare il nostro orientamento con eccessivo ritardo. Nei prossimi mesi ci aspettiamo di avere due elementi importanti che potrebbero accrescere il nostro livello di certezza in misura sufficiente da poter adottare un primo intervento di politica monetaria.

In primo luogo, disporremo di maggiori dati per confermare se i salari stiano effettivamente aumentando in modo compatibile con il conseguimento durevole dell’obiettivo di inflazione entro la metà del 2025.

Gli ultimi dati vanno in questa direzione. La crescita del reddito per occupato si è ridotta al 4,6% nel quarto trimestre dello scorso anno, lievemente al di sotto delle nostre proiezioni di marzo, dal 5,1% del terzo trimestre. Anche la crescita delle retribuzioni contrattuali, che rappresenta la quota principale dell’incremento dei redditi per occupato, è diminuita dal 4,7% al 4,5% nel quarto trimestre.

Analogamente, l’indice salariale prospettico elaborato dalla BCE, che anticipa l’andamento della crescita delle retribuzioni contrattuali nell’area dell’euro, mostra i primi segnali di un allentamento delle pressioni. Nel 2024 la crescita salariale media per tutti i contratti in essere[9] è scesa dal 4,4% registrato in corrispondenza della riunione del Consiglio direttivo di gennaio al 4,2% osservato al momento della nostra riunione di marzo.

Nei prossimi mesi potremo tracciare un quadro ancora più chiaro.

Nel primo trimestre di quest’anno, alla fine di maggio, avremo a disposizione i dati sulla crescita delle retribuzioni contrattuali. Molte trattative salariali sono attualmente in corso in grandi settori; non appena concluse, terremo conto dei loro esiti nel nostro indice salariale. I dipendenti con contratti scaduti l’anno scorso e non rinnovati o con contratti in scadenza entro marzo 2024 rappresentano circa un terzo di quelli considerati nel nostro indice salariale.

In secondo luogo, entro giugno avremo a disposizione nuove proiezioni che confermeranno o meno la validità dell’andamento dell’inflazione da noi previsto a marzo. Queste proiezioni ci consentiranno implicitamente di comprendere meglio l’evoluzione dell’inflazione di fondo. Avremo maggiore visibilità sul vigore della ripresa e sul probabile andamento del mercato del lavoro, e quindi sulle conseguenze per i salari, i profitti e la produttività.

Inoltre, avremo una finestra temporale più ampia per valutare se i dati sull’inflazione continuano a essere sostanzialmente in linea con le nostre proiezioni. In tal caso, potremo avere maggiore certezza che i nostri modelli staranno cogliendo con maggiore precisione la dinamica dell’inflazione. Tale conferma sarà particolarmente importante per le componenti più persistenti, come i servizi, in quanto ci consentirà di confidare che essi continueranno a diminuire mostrando il loro tipico ritardo.

Se questi dati riveleranno un sufficiente grado di allineamento tra l’andamento dell’inflazione di fondo e le nostre proiezioni, e ipotizzando che la trasmissione rimanga forte, potremo passare alla fase di allentamento del nostro ciclo di politica monetaria e adottare una politica meno restrittiva.

In seguito, tuttavia, continueremo a riscontrare pressioni interne sui prezzi. Ci attendiamo, ad esempio, che l’inflazione dei servizi rimanga elevata per gran parte di quest’anno. Nel prossimo futuro sarà quindi necessario confermare su base continuativa che i dati pervenuti sostengono le nostre prospettive di inflazione.

Ciò ha due importanti implicazioni per la traiettoria futura della politica monetaria.

In primo luogo, le nostre decisioni dovranno continuare a fondarsi sui dati ed essere definite di volta in volta a ogni riunione, sulla scorta delle nuove informazioni disponibili. Ciò comporta che anche dopo il primo abbassamento dei tassi, non possiamo vincolarci a un determinato percorso di riduzione.

In secondo luogo, il nostro assetto di politica monetaria rimarrà importante per l’analisi dei nuovi dati e la calibrazione dell’adeguato orientamento. Al tempo stesso, dovranno essere esaminati periodicamente i pesi relativi assegnati ai tre criteri.

Conclusioni

Dopo la nostra ultima riunione del Consiglio direttivo ho affermato che, per quanto riguarda i dati che rilevano per le nostre decisioni di politica monetaria, sapremo qualcosa in più entro aprile e molto di più entro giugno.

Mi auguro che il mio intervento di oggi aiuti a comprendere meglio la nostra analisi e la nostra logica.

Nei prossimi mesi avremo a disposizione più dati, che ci aiuteranno a valutare se la certezza che abbiamo sul percorso futuro è tale da poter passare alla prossima fase del nostro ciclo di politica monetaria.

  1. Chahad, M., Hofmann-Drahonsky, A.-C., Meunier, B., Page, A. e Tirpák, M. (2022), “A cosa si devono i recenti errori nelle proiezioni di inflazione formulate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE?”, Bollettino economico, numero 3, BCE; Chahad, M., Hofmann-Drahonsky, A.-C., Page, A. e Tirpák, M. (2023), “Una valutazione aggiornata delle proiezioni di inflazione a breve termine formulate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE, Bollettino economico, numero 1, BCE; Chahad, M., Hofmann-Drahonsky, A., Martínez Hernández, C., e Page, A. (2024) “An update on the accuracy of recent Eurosystem/ECB staff projections for short-term inflation”, Bollettino economico, numero 2, BCE, di prossima pubblicazione (21 marzo).

  2. Lagarde, C. (2023), “Il cammino da percorrere”, intervento alla conferenza “The ECB and Its Watchers XXIV”, Francoforte sul Meno, 22 marzo.

  3. Ibid.

  4. Lagarde, C. (2023), “Spezzare la persistenza dell’inflazione”, intervento in occasione dell’ECB Forum on Central Banking 2023 sul tema “Stabilizzazione macroeconomica in un contesto di inflazione volatile”, Sintra (Portogallo), 27 giugno.

  5. Bańbura, M., Bobeica, E., Bodnár, K., Fagandini, B., Healy, P. e Paredes, J. (2023), “Misure dell’inflazione di fondo: una guida analitica per l’area dell’euro”, Bollettino economico della BCE, numero 5, 2023.

  6. Ibid.

  7. L’esercizio si basa sul reddito per occupato deflazionato con lo IAPC e la crescita della produttività mediante una media mobile a quattro trimestri. Conducendo lo stesso esercizio senza considerare la produttività si avrebbe un recupero a metà del 2025.

  8. L’analisi si basa su Arce, Ciccarelli, Kornprobst e Montes-Galdón (2024), “What caused the euro area post-pandemic inflation? An application of Bernanke and Blanchard (2023)",Occasional Paper Series, n. 343, BCE.

  9. Comprese le misure una tantum.

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