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Il metodo Monnet e la sua rilevanza per l’Europa di ieri e di oggi

Mario Draghi, Presidente della BCE, Conferimento della medaglia d’oro della Fondation Jean Monnet pour l’Europe, Losanna, 4 maggio 2017

I problemi che i nostri paesi sono chiamati a risolvere non sono gli stessi del 1950. Il metodo però rimane lo stesso: trasferimento di potere a istituzioni comuni, voto maggioritario e approccio comune alla ricerca di una soluzione ai problemi sono la sola risposta nel nostro attuale stato di crisi[1].

Molti potrebbero considerare questa citazione una rappresentazione corretta del modo in cui rispondere alle numerose sfide poste dinanzi ai nostri governi nel 2017, sfide che nessun paese può realisticamente affrontare da solo. Tuttavia tali parole non sono state pronunciate pensando alla situazione attuale. Sono parole che Jean Monnet pronunciò nel 1974.

Esse mostrano che la forza della leadership di Monnet non è dovuta semplicemente ai traguardi raggiunti nel corso della sua vita, bensì a un metodo di governo da lui sviluppato, la cui efficacia va al di là delle condizioni particolari in cui visse. Il suo metodo era applicabile alle circostanze molto diverse del 1950, del 1974 e di oggi, come pure a quelle dei periodi intermedi e degli anni ancora a venire.

Desidero sottolineare questo non per rivisitare il contributo straordinario di Monnet alla storia del nostro continente, ma perché vi sono aspetti del suo metodo che restano fondamentali per orientare la nostra azione di oggi in Europa, ossia la particolare attenzione all’efficacia, l’insistenza sulla sussidiarietà, il senso di direzione e la preoccupazione per la legittimazione democratica.

Nel mio intervento illustrerò le ragioni per le quali l’approccio di Monnet all’integrazione continua a essere rilevante per l’Europa, tanto oggi quanto in passato, e il modo in cui le sue idee possono ancora condurci verso il successo dell’integrazione.

1. I principi del metodo Monnet

I governi si trovarono dinanzi a sfide che non riuscivano a superare con le loro capacità; l’obiettivo fondamentale di Monnet era rimetterli in condizione di assolvere il proprio mandato, vale a dire garantire la sicurezza e la libertà e creare le condizioni per la prosperità dei cittadini[2].

In altre parole, la sua attenzione era rivolta soprattutto all’efficacia, elemento che spiega ampiamente il motivo per il quale Monnet, discostandosi dal modello intergovernativo della cooperazione internazionale che aveva dominato nella prima metà del XX secolo propose per la prima volta un modello sovranazionale.

Le soluzioni intergovernative, secondo il suo pensiero, non solo erano palesemente fallite negli anni tra le due guerre, ma inevitabilmente non avevano neanche raggiunto lo scopo di tenere conto dell’interesse comune. Come da lui affermato, “la cooperazione tra le nazioni, per quanto importante, non risolve nulla. Occorre perseguire la fusione degli interessi dei popoli europei, non la semplice salvaguardia di un equilibrio fra questi”[3].

Monnet promosse dunque il suo metodo sovranazionale per l’assunzione di decisioni basato su istituzioni comuni e sul voto maggioritario per due ragioni: tali istituzioni avrebbero potuto, in primo luogo, agire e decidere nell’interesse comune e, in secondo luogo, creare economie di scala attraverso la condivisione di risorse, incrementando così l’efficacia delle politiche.

In tal senso, il suo approccio alla sovranità fu essenzialmente positivo. Più che in termini di diritti normativi essa fu da lui concepita in termini di potere ed efficacia. Pertanto, essendo il trasferimento della sovranità a un organismo sovranazionale il modo migliore per assicurare la pace, la prosperità e la sicurezza, Monnet non lo considerò un vincolo alla sovranità delle nazioni, bensì una fusione e un’estensione di tale sovranità.

Nondimeno egli teneva ad assicurare che il trasferimento di sovranità fosse percepito dai cittadini come legittimo. È interessante notare a tale proposito che Monnet preferì non usare il termine “sovranazionale”, forse perché troppo suscettibile di essere frainteso come intervento politico che priva di controllo i cittadini[4].

Optò deliberatamente per un approccio graduale basato sul principio della sussidiarietà, con cui designava iniziative in un ambito limitato ma decisivo. Proprio perché la condivisione della sovranità doveva essere vista non solo come efficace ma anche come soggetta al controllo democratico, l’integrazione europea avrebbe potuto realizzarsi solo se incentrata su aree di immediata necessità e in cui avrebbe potuto rafforzare le politiche governative o intergovernative esistenti.

Tuttavia tale pragmatismo non andrebbe interpretato erroneamente come un approccio casuale all’integrazione. Monnet sosteneva inoltre che un chiaro senso di direzione fosse vitale per la traiettoria complessiva da seguire e affermava che “la strada che si intraprende è meno importante della direzione verso cui viaggiamo”[5].

Il fatto che l’unione in Europa abbia avuto inizio nell’ambito limitato della cooperazione economica (carbone e acciaio) non significa che non la si volesse intendere come un’unione politica. Per Monnet l’integrazione economica fu sempre fondamento dell’unione politica, con il mercato unico che avrebbe aperto la strada alla moneta unica e infine a una federazione.

Egli affermò sin dall’inizio la natura politica del progetto europeo e dunque l’importanza della base democratica delle sue istituzioni, insistendo sulla necessità di sottoporre il nuovo esecutivo paneuropeo al doppio scrutinio di un’assemblea parlamentare e di una corte di giustizia a tutti gli effetti, auspicando altresì che le nuove istituzioni avessero la “trasparenza di una casa di vetro”[6].

2. Perché lavorare insieme resta indispensabile

Da allora il metodo Monnet, concernente l’assunzione di decisioni comuni nell’ambito di istituzioni comuni, si è diffuso in diversi settori in Europa. Un numero crescente di paesi ha deciso di unire la propria sovranità in svariati campi, fra cui – per quanto riguarda l’istituzione alla quale appartengo – la moneta e la vigilanza bancaria. I controlli democratici si sono accresciuti in parallelo, anche grazie al ruolo del Parlamento europeo.

Sappiamo tuttavia che l’integrazione europea continua a suscitare dubbi. Alcuni si chiedono se, in tempi in cui è ormai impensabile un conflitto bellico in Europa, lavorare insieme nell’ambito di istituzioni comuni resti la migliore soluzione per la natura delle sfide che ci troviamo ad affrontare. Eppure, se applichiamo la logica di Monnet alla base dell’azione comune, ovvero rendere gli Stati più efficaci nell’assolvere il proprio mandato, la risposta è chiara. Questo approccio è tanto più necessario al giorno d’oggi di quanto lo fosse allora. Per tre ragioni principali.

In primo luogo, la diminuzione in termini relativi del peso dei paesi europei sulla scena mondiale.

Nel motivare l’esigenza di un approccio comune, nel 1954 Monnet scrisse: “i nostri paesi sono diventati troppo piccoli per il mondo d’oggi, posti dinanzi... all’America e alla Russia di oggi e alla Cina e all’India di domani.”[7] Erano tempi in cui l’Europa rappresentava il 37% del PIL mondiale e il 13% della popolazione del pianeta. Oggi siamo al 24% e al 7%. È quindi ancora più importante che i paesi europei siano in grado di mettere in comune le proprie risorse e sfruttare le economie di scala.

La seconda ragione risiede nei mutamenti strutturali delle relazioni internazionali connessi alla tecnologia e all’ambiente.

Nel corso degli ultimi sessant’anni una tecnologia sempre più potente e l’impatto dell’uomo sull’ambiente naturale hanno avviato l’erosione dei confini tradizionali in un numero crescente di ambiti. Basta pensare alle ricadute del cambiamento climatico, agli effetti dell’accresciuta mobilità dei capitali sui bilanci nazionali e alla minaccia terroristica, che trascendono confini fisici e virtuali. In ogni caso l’azione dei governi può essere efficace soltanto se portata avanti insieme come unione.

La terza ragione è il nostro impegno verso l’apertura del commercio.

L’apertura del commercio non ci viene imposta dalla natura né dalla tecnologia. Tuttavia è ormai diventata così radicalmente indispensabile per la nostra prosperità che nessun paese si può tagliare fuori dall’interscambio senza commettere un atto di profondo autolesionismo: due terzi delle importazioni dell’UE riguardano infatti materie prime, beni intermedi e componenti necessari per i processi produttivi delle imprese. Ciò significa che, poiché il commercio presenta costi e benefici come altri tipi di sfide transfrontaliere, è una condizione da gestire insieme.

Anche su questo fronte siamo più efficaci se agiamo come unione: a livello europeo, perché possiamo generare maggiore ricchezza attraverso un mercato integrato e di adeguato spessore, dotandoci al tempo stesso di dispositivi per contenere ricadute indesiderate e stemperare alcuni effetti ridistributivi dell’apertura; e a livello mondiale, perché il nostro grande mercato unico ci permette di essere più incisivi nella definizione delle regole globali.

Questo vale nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio, negli accordi di scambio bilaterali e persino nella definizione degli standard di regolamentazione mondiale; il cosiddetto “effetto Bruxelles” significa che l’UE esercita una maggiore influenza sulle regole globali in svariati ambiti, come il settore alimentare, il settore chimico e la tutela della privacy, e in questo modo esporta i suoi valori[8].

Il punto è chiaro: in un mondo in cui le dimensioni relative dell’Europa si riducono e in cui la tecnologia, l’ambiente e il mercato permeano i confini nazionali, acquistano più forza che mai le motivazioni per agire insieme come mezzo per riguadagnare capacità. L’azione europea ha avuto un’espansione così ampia dai tempi di Monnet proprio perché si è dimostrata necessaria. Alla luce delle nuove sfide che ci troviamo ad affrontare, l’azione comune come unione resta indispensabile per ottenere risultati nel vero interesse dei cittadini.

Questo è un punto importante da ricordare quando sentiamo esprimere opposizione all’UE in termini di riprendere il controllo. Monnet e i suoi contemporanei concepivano l’UE esattamente come un mezzo per riacquistare il controllo degli eventi che gli Stati nazionali, agendo da soli, non potevano più influenzare. Da questo punto di vista, oggi la situazione resta invariata.

3. Le condizioni per il successo dell’integrazione europea

Ma allora perché, se le motivazioni dell’integrazione europea non fanno che rafforzarsi, si intensificano anche le inquietudini al riguardo?

Questi umori sono in parte frutto di una colpa erroneamente attribuita all’UE, considerata responsabile di decisioni che in realtà competono agli Stati membri.

Ne è un esempio l’unione monetaria, a volte ritenuta causa di una crescita debole in alcune regioni dell’area dell’euro. Però, come abbiamo visto, nei paesi che hanno attuato riforme strutturali e politiche di bilancio solide, la moneta unica non ne ha ostacolato il successo. Di fatto, quei paesi che hanno perseguito le giuste politiche hanno potuto sfruttare più efficacemente i benefici dell’euro.

Ma come è ovvio questo non spiega in maniera sufficiente le inquietudini circa l’Europa: dobbiamo anche chiederci se il processo di integrazione dia i risultati attesi in termini quantitativi e qualitativi. Sostenere le ragioni dell’azione comune significa, dopotutto, appoggiare il progetto europeo solo per metà. L’altra metà è farlo bene. Ed è qui che sono essenziali gli altri preziosi contributi del metodo Monnet.

Da quanto ci dicono i cittadini europei, vi sono tre ambiti che necessitano miglioramenti.

Il primo ambito è conferire chiarezza di obiettivi al progetto europeo. Ciò che i cittadini sembrano chiedere è un senso più chiaro del perché esista l’UE e di come apporti loro benefici, ossia di come accresca le loro scelte di vita e li renda protagonisti.

Il secondo ambito è assicurare risultati. Se i cittadini dell’UE devono avallare la nozione che l’azione comune possa migliorare le loro vite, devono poter constatare che nei settori in cui l’UE interviene è efficace. Ciò richiede, nella sfera di competenza dell’UE, che ad essa siano delegati i poteri che le consentono di lavorare in maniera adeguata.

In diversi casi però abbiamo messo in piedi progetti comuni incompleti, ossia trasferendo poteri solo in parte. Le aspettative sono così rivolte sull’UE, che resta però priva degli strumenti necessari per soddisfarle.

Tuttavia, è chiaro che la legittimazione dell’azione dell’UE non deriva solo dai risultati, ma richiede anche un adeguato processo democratico in grado di consentire un confronto critico sulle decisioni. E questo ci porta al terzo ambito: anche nei casi in cui l’UE riesce a conseguire i propri obiettivi, vi è l’impressione che i cittadini vorrebbero sentire di avere più controllo su tale processo.

In altre parole, non è sufficiente che l’UE dia ai cittadini maggior controllo sugli eventi. Devono anche sentire di avere controllo sulle sue politiche.

In modi diversi, ciascuno di questi ambiti di miglioramento si ricollega ai principi esposti da Monnet. Ad esempio, se oggi ci si interroga sulla chiarezza di obiettivi dell’UE, una risposta consiste nell’applicare con maggior rigore il principio della sussidiarietà quando si considerano i futuri passi verso l’integrazione.

Come affermava Monnet “abbiamo bisogno di un’Europa per ciò che è essenziale... un’Europa per ciò che le nazioni non possono fare da sole”[9], perché così si assicura che l’azione dell’UE rafforzi sempre quella degli Stati membri e renda più chiaro ai cittadini come l’Unione sia un arricchimento per le loro vite. L’Unione dovrebbe quindi intervenire solo negli ambiti in cui può soddisfare una chiara esigenza dei cittadini e offrire una piattaforma efficace per farlo.

Ma se applichiamo con rigore il principio della sussidiarietà, con altrettanto rigore dobbiamo attribuire a ciascun livello di governo i poteri necessari per eseguire con successo i compiti assegnati. E quindi se affidiamo delle funzioni all’Unione, dobbiamo assicurarci che sia dotata degli strumenti e delle competenze per svolgerle con efficacia. Così la sussidiarietà, adeguatamente applicata, dovrebbe essere considerata un mezzo per rafforzare il metodo dell’Unione, non per indebolirlo.

Analogamente, se vi sono dubbi sulla capacità dell’UE di conseguire risultati, la prima cosa da fare è portare a termine i progetti che iniziamo. Ma a tal fine è necessario, come affermava sempre Monnet, un chiaro senso di direzione per il progetto europeo, un senso di ciò che l’obiettivo ultimo del processo di integrazione dovrebbe essere. Semplificando, per evitare di arenarsi con progetti incompleti, abbiamo bisogno di piani finali.

Ad esempio, è ampiamente riconosciuto che l’Unione economica e monetaria resta incompiuta. Ma sarà arduo andare avanti senza una visione condivisa di come dovrebbe essere un’unione monetaria completa. E non solo perché una tale visione contribuirebbe a orientare i passi che stiamo compiendo oggi, ma anche perché renderebbe il processo del tutto trasparente ai cittadini.

E questo ci porta all’ultimo punto messo in rilievo da Monnet: la necessità di rendere conto del proprio operato e di assicurare la trasparenza.

Vi sarebbe molto da dire al riguardo, tuttavia mi limiterò a parlare dell’istituzione di cui sono a capo. La BCE è pienamente consapevole che non può motivare le proprie azioni unicamente in termini di risultati, essendo investita di più poteri e avendo la sua politica monetaria ampliato il raggio di azione. Abbiamo bisogno di un grado più elevato di trasparenza e responsabilità per il nostro operato per far sì che i cittadini possano comprendere come perveniamo alle nostre decisioni e sottoporle a un esame più attento.

Per questo motivo pubblichiamo i resoconti delle riunioni di politica monetaria. Interveniamo dinanzi ai parlamenti nazionali per spiegare in dettaglio la nostra politica. Abbiamo accolto la richiesta del Parlamento europeo di informare in merito ai dibattiti tenuti nei comitati di Basilea. E ciò si aggiunge alle regolari conferenze stampa, audizioni dinanzi al Parlamento europeo e visite dei deputati europei a Francoforte.

Non intendo affermare che queste iniziative bastino a dissipare tutti i timori dei cittadini europei. Tuttavia ci adoperiamo con molto impegno per dimostrare che rendiamo conto a loro.

4. Conclusioni

In sintesi, oggi non mettiamo sotto processo – e non ci andrebbe messo – il metodo di cui è stato pioniere Jean Monnet.

Non si discute il fatto che le sfide attuali possano essere affrontate soltanto attraverso l’azione congiunta dei paesi europei. Non si discute il fatto che, negli ambiti giusti, il metodo Monnet abbia aiutato i governi europei a riacquistare il controllo sugli eventi e a esercitare sovranità effettiva. Ed è altamente probabile che aumenterà il numero delle sfide che richiedono un approccio di questo tipo.

Ciò che è stato messo alla prova, tuttavia, è la nostra capacità di gestire l’integrazione non soltanto traendo legittimazione dai risultati ottenuti, ma anche sviluppando un’affectio societatis europea. E questo ci dovrebbe incoraggiare ad ascoltare le domande che si pongono all’Europa e ad essere ambiziosi nel dare una risposta.

  1. [1] Monnet, J., L’Europe et la nécessité, Archives de la Fondation Jean Monnet pour l’Europe, maggio 1974.

  2. [2] Questa interpretazione del pensiero di Monnet si basa su Grin, G., Shaping Europe: The Path to European Integration according to Jean Monnet, Jean Monnet Foundation for Europe, Debates and Documents Collection, numero 7, Losanna, marzo 2017.

  3. [3] Monnet, J., Mémoires, Fayard, Parigi, 1976.

  4. [4] Ibid.

  5. [5] Monnet, J., Téléphoner Volf… Mon cher ami, …, Archives de la Fondation Jean Monnet pour l’Europe, maggio 1955.

  6. [6] Monnet, J., Mémoires, Fayard, Parigi, 1976.

  7. [7] Cfr. Grin, G., op. cit.

  8. [8] Bradford, A., “The Brussels Effect”, Northwestern University Law Review, vol. 107, n. 1, 2012.

  9. [9] Riflessioni di Monnet, J., Les Portes, Archives de la Fondation Jean Monnet pour l’Europe, agosto 1965.

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